Pablo Val, da Buenos Aires a Lanciano passando per Madrid
Riquelme l’idolo, l’Independiente la squadra del cuore, l’impatto col Vecchio Continente: il centrocampista argentino rossonero, classe 1995, si racconta. Dalle giovanili nel Platense, passando per Superclásico e Albiceleste, fino all’arrivo in Abruzzo: «Nostalgia di casa? Sì, ma in tanti vorrebbero essere qui: è come ripartire dalla Serie C con l’Inter»
Pablo Val, partiamo dai suoi inizi in Argentina: dove giocava nel suo Paese e come è sbarcato in Europa?
«Ho iniziato con il Platense, un club che oggi milita nella Primera B Metropolitana, la terza divisione argentina: ho fatto tutta la trafila delle giovanili lì, fino alla vittoria del campionato nazionale under 19, l’equivalente della vostra Primavera. Successivamente mi sono trasferito al Talleres, un altro club di terza divisione: lì è stata la prima esperienza tra i professionisti, avevo 18 anni e non ho fatto molte presenze. Nella stagione successiva erano intenzionati a tenermi, ma in estate decisi di trasferirmi in Spagna, al Puerta Bonita, grazie ad un procuratore argentino».
In Spagna che esperienza è stata? Quanto ha faticato ad ambientarsi nel Vecchio Continente?
«L’Europa è un altro mondo, ci sono più educazione e più rispetto. In Spagna è stata la mia prima esperienza lontano migliaia di chilometri dalla mia famiglia a Buenos Aires. In pratica a 19 anni mi sono ritrovato a dovermi gestire da solo in una grande capitale, Madrid, di un continente distante non solo geograficamente, ma proprio come stile di vita da tutto ciò a cui ero abituato dalla nascita. Al Puerta Bonita è stata un’avventura che mi ha fatto crescere tantissimo soprattutto sotto il punto di vista umano per le ragioni che ho elencato in precedenza… diciamo che è lì che ho cominciato ad essere un “uomo”».
Dal Puerta Bonita alla Civitanovese, ci racconti…
«Passare da Buenos Aires e Madrid a Civitanova Marche diciamo che è stato un cambio radicale a livello di vita: Civitanova non è neanche un quartiere di Madrid, ma comunque l’ambientamento non è stato difficile. Sono arrivato lì grazie a un altro procuratore, però questa volta le cose non sono andate troppo bene: la Civitanovese ha avuto problemi societari seri, e quindi sono stato costretto ad andarmene a Penne».
Dove invece si è tolto delle belle soddisfazioni, giusto?
«Sì, lì ho trovato brave persone e molto competenti. A metà campionato avevamo 13 punti, eravamo praticamente condannati alla retrocessione. Poi, con un grande mercato di riparazione, abbiamo raggiunto una salvezza miracolosa: nel solo girone di ritorno abbiamo fatto 40 punti, siamo riusciti a salvarci uscendo a testa alta anche dalla zona play out. Sono rimasto molto amico di Antonio Mergiotti, che era il direttore a Penne, e che ora fa parte dell’organigramma societario qui a Lanciano».
Quali differenze sostanziali ha notato tra l’Argentina, la Spagna e l’Italia?
«L’Italia è sicuramente il Paese dove mi sono trovato meglio, forse perché ci sono arrivato già con qualche anno d’esperienza alle spalle. La gente qui è stata molto accogliente e mi sono sentito subito “a casa”. A livello calcistico diciamo che sia in Spagna, sia in Italia, si lavora molto di più sotto il punto di vista tattico rispetto all’Argentina. A Madrid poi ci tenevano spesso intere giornate a guardare i filmati delle partite in televisione; qui invece si lavora molto sul campo. Naturalmente poi tutto cambia anche a seconda dell’allenatore che si trova sul proprio percorso».
Da Buenos Aires a Lanciano, passando per Madrid: come è arrivato in Frentania?
«Mi ha portato qui proprio Antonio Mergiotti, anche se già conoscevo la società dato che l’anno scorso abbiamo affrontato il Francavilla in Eccellenza. È stata sicuramente una scelta azzeccata, nonostante la categoria oggi è quella che è. Abbiamo un grande gruppo e sono sereno, anche perché mi trovo bene in una città che è senz’altro la più adatta a me da quando ho intrapreso questo cammino intercontinentale. Non conoscevo il Lanciano come squadra, ma quando mi sono informato e ho letto la storia degli ultimi decenni, sono rimasto davvero inorgoglito dalla chiamata. Mi sento come se stessi giocando nell’Inter fallita e ripartita dalla Serie C… sono convinto che tanta gente vorrebbe essere al mio posto, e questo stato d’animo non potrà che crescere nel corso dei prossimi anni».
Si è appassionato al calcio italiano?
«Sì, seguo molto la Serie A e oggi sono innamorato del gioco espresso dal Napoli di Sarri. Nonostante questo, sono da diversi anni un tifoso interista: l’Inter ha avuto una grandissima tradizione di giocatori argentini, e forse è proprio questo il motivo che mi ha spinto a tifarla».
C’è un idolo che l’ha segnata fin da bambino?
«Sicuramente Juan Román Riquelme. L’ho visto giocare nel Boca Juniors per molti anni, e quello che faceva lui col pallone l’ho visto fare a pochissimi altri: era un fenomeno assoluto».
A questo proposito proprio domenica ci sarà il Superclásico al Monumental, Boca Juniors-River Plate; mi sembra anche suprefluo chiederle per chi farà il tifo…
«Naturalmente tra le due Boca, anche se non è la mia squadra del cuore: fin da bambino sono tifosissimo dell’Independiente, il club in cui è cresciuto Diego Milito tra l’altro».
Chi vede favorito tra Boca e River?
«Il Boca credo sia più forte, ha dei grandi giocatori dalla sua parte tra cui Benedetto che è un idolo dei tifosi. Tuttavia il River è chiamato a fare la partita della vita: è appena uscito dalla Libertadores contro il Lanús, ma se vuole avere speranze di vincere deve puntare su Ignacio Scocco, un fuoriclasse che avrebbe meritato una grande occasione in Europa».
Qual è lo stato d’animo attorno alla nazionale argentina?
«La gente si è stufata di questi top player che non hanno mai portato a casa risultati. I tifosi iniziano a volere giocatori “operai”, che sputano sangue per l’Albiceleste, ed è per questo che ci sono state varie esclusioni eccellenti nelle ultime convocazioni: non esiste che l’Argentina arrivi a rischiare di non partecipare al mondiale!».
La vedo ancora molto attaccato alla sua terra d’origine: Ha nostalgia di casa?
«Sì, mi mancano molto i miei familiari e i miei amici, e sarebbe terribile se non mi trovassi bene qui in Italia. Per il momento torno ogni 5 mesi a Buenos Aires, e deve bastarmi questo. Non nascondo che mi fa male vedere i miei compagni di squadra tornare dalle famiglie appena possono, ma devo accettarlo».
L’abbiamo vista schierata sia nel ruolo di trequartista sia da mezzala: qual è la posizione in cui si trova meglio?
«Sicuramente da mezzala, perché credo di avere più attitudini nel recupero del pallone anche sulle seconde palle; lavoro molto per la squadra ma ho molto da migliorare nella fase di impostazione del gioco».
In vista della partita di domenica come si sente fisicamente e che partita si aspetta a Cupello?
«Ho preso una brutta botta alla coscia a San Salvo, e tre giorni di recupero diciamo che non sono stati del tutto sufficienti. Infatti con il Fresa non ho fatto la partita che volevo: non mi sentivo bene fisicamente ed ero anche abbastanza nervoso per questo motivo. Dopo la partita abbiamo fatto un lavoro di scarico ed ora mi sento decisamente meglio; credo che per la trasferta di Cupello sarò al 100%, ma ovviamente le scelte spettano al mister. Sicuramente sarà una gara complicata, anche perché troveremo di fronte a noi una squadra che probabilmente se la giocherà per i play off. Naturalmente il nostro obiettivo è sempre lo stesso a prescindere dalla controparte: dobbiamo vincere».